1) Coscioni, innanzitutto devo dirLe, a titolo personale, che sono rimasto subito molto colpito dalla sua storia. Inutile negarlo: quando lei, una delle figure emergenti dei Radicalici, è apparso in video o sui giornali prima delle elezioni del 13 maggio 2001, la prima cosa che ha attirato l’attenzione non solo – penso – del sottoscritto è stato sì il suo handicap, ma anche la sua straordinaria forza di volontà. Si è mai fermato a riflettere sul fatto che, aldilà delle scelte politiche, la sua è stata una grandissima dimostrazione di forza intellettuale e caratteriale?
Le dimostrazioni di forza, siano anche solo caratteriali o intellettuali, conservano in sé il mero connotato dimostrativo; no, non mi sono mai soffermato su questo. Credo invece che la mia presenza e la mia lotta radicale, l’essere stato capolista davanti a Marco Pannella durante le scorse elezioni, abbia un forte significato politico. Non è l’handicap l’ostacolo più grande alla mia lotta di libertà: è piuttosto la disinformazione, il regime di assoluta illegalità in cui si svolge la vita politica degli italiani, il realizzarsi quotidiano di piccoli furti di diritto da parte di un sistema irresponsabile.
La circostanza che una persona gravemente malata, che non può camminare, che per comunicare è costretta ad utilizzare un computer, viva pienamente la propria esistenza, scuote le coscienze, le agita, le mette in discussione. Il fatto poi che io abbia sollevato una questione politica, che non abbia accettato di rappresentare un caso umano, che abbia scelto lo strumento della lotta politica, infastidisce.
Perché, in Italia, la persona malata, non appena una diagnosi le fa assumere questo nuovo status, deve smettere di essere persona, perde immediatamente i diritti umani inviolabili, e tale perdita è tanto maggiore quanto più gravi sono le condizioni di salute della persona in questione. La mia, nostra battaglia radicale per la libertà di Scienza mi ha consentito di riaffermare valori quali la libertà personale, la libertà di pensiero, la libertà all’elettorato passivo, il poter essere eletto per portare in Parlamento istanze delle quali i due poli non possono essere portatori.
2) Come è arrivato alla posizione che oggi ha assunto all’interno del Partito? Quanto ha influito l’amicizia con Pannella?
Il mio impegno politico risale al 1995, quando sono stato eletto consigliere comunale a Orvieto. Purtroppo lo stesso anno mi sono ammalato di sclerosi laterale amiotrofica e ho deciso di dimettermi dal momento che, allora, ancora non sapevo bene a cosa sarei andato incontro e perché era molto difficile per me accettare questa nuova situazione di malattia. Ho trascorso alcuni anni passando da un ospedale a un altro, da un ricovero a un altro, dalla speranza alla disperazione quando è stata definitivamente confermata la diagnosi di sclerosi laterale amiotrofica. Poi, nel 1999, seguendo una trasmissione sulle televisione locale ho appreso che nel mese di giugno si sarebbero nuovamente svolte le elezioni amministrative e ho deciso di candidarmi, anche se quella volta non sono stato eletto. Questo è stato il momento in cui ho cominciato a reagire veramente alla mia malattia e a rinnovare quella passione per la politica che non avevo più alimentato. Nel mese di luglio dello stesso anno ho scoperto navigando su internet il sito dei Radicali, www.radicali.it, e ho cominciato a interessarmi alle iniziative e alla storia di questo partito con grande interesse e attenzione. Nel mese di agosto del 2000 i Radicali lanciano le prime elezioni on line con le quali decidono di far eleggere 25 nuovi dirigenti del comitato di coordinamento dei radicali. E’, così, che inizia la mia avventura politica con Marco Pannella e Emma Bonino. Nel mese di dicembre dello stesso anno sono, infatti, eletto dirigente e nel mese di Febbraio del 2001 faccio il primo intervento con il mio sintetizzatore vocale al Comitato di Chianciano. Dopo alcuni mesi Marco Pannella e la direzione del partito propongono che io diventi il capolista nazionale della liste Emma Bonino nel proporzionale
L’amicizia e la stima tra le persone dovrebbero sempre influire, e dico dovrebbero perché purtroppo in politica spesso sono altre le condizioni che portano ad avere degli “incarichi”. Ma la mia lotta è un’assunzione di responsabilità, personale e politica, ed è questa il motivo principale, oltre che l’amicizia e la stima, che ha determinato la possibilità, per me, di rappresentarla come Presidente di Radicali italiani. Marco è comunque una persona straordinaria,di una umanità travolgente, quindi per me è un piacere fare politica con lui e con i radicali italiani.
Dall’avvento dei sistemi democratici, lo scontro è sempre stato fra democrazia e totalitarismo, nelle sue diverse forme, nazismo, fascismo, comunismo, integralismo religioso. Un economista , non certo inascoltato, Amartia Sen, sostiene del resto che lo sviluppo deve essere inteso come un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani, nella sfera privata, come in quella sociale e politica. Di conseguenza la sfida dello sviluppo consiste nell’eliminare i vari tipi di illiceità, tra cui la fame e la miseria, la tirannia, l’intolleranza e la repressione, l’analfabetismo, la mancanza di assistenza sanitaria e di tutela ambientale, di libertà di espressione, che limitano, o negano all’individuo, uomo o donna, l’opportunità e la capacità di agire secondo ragione, e di costruire la vita che preferisce.
Nel vedere sfilare quelle centinaia di migliaia di persone durante le manifestazioni anti G8 e in occasione della marcia della pace, non nascondo, e se lo facessi sarei un ipocrita, che il sentimento che ho provato è stato un sentimento di rabbia. Rabbia, perché quei pacifisti non hanno mai mosso un solo passo, per almeno un miliardo e mezzo di uomini e donne, che sono oppressi da regimi totalitari e integralisti. Tutte quelle persone, godono dei benefici prodotti dal mercato e dalla globalizzazione, eppure, dopo il crollo del muro di Berlino e il fallimento su scala planetaria delle cosiddette economie pianificate e del socialismo reale, hanno spostato la loro critica dall’economia di mercato al fenomeno della globalizzazione, non accorgendosi che il governo della stessa può essere una occasione di libertà e di sviluppo per miliardi di persone che oggi si trovano ben al di sotto della soglia della povertà. In realtà, continuano a guardare con sospetto anche il mercato, ma vivono e hanno un tenore di vita medio alto, proprio grazie ad esso.
In un contesto mondiale dove sempre più appare necessaria una risposta di globalizzazione del diritto, credo che la protesta anti-global si fondi in gran parte su pregiudizi protezionistici, più che su presupposti e fondamenti di legalità certa, per tutti.
La globalizzazione dell’economia mondiale deve procedere insieme a quella dei diritti della persona e dei cittadini. E’ su questo che le potenze mondiali non possono scendere a patti, vincolando i propri investimenti a presupposti democratici e di diritto con i propri partner. I fondamentalisti dell’antiglobalizzazione ritengono il liberismo economico ingiusto e discriminante: è un pregiudizio, spesso alimentato dalla mancanza di informazione e conoscenza.
Eppure non credo vi sia un muro di incomunicabilità con i più giovani, anzi: è la condizione primaria di libertà di informazione che, come ho già detto, viene costantemente negata. Noi radicali siamo convinti da sempre, e da trent’anni forniamo agli italiani strumenti e mezzi, che i cittadini per primi possono e devono pretendere la legalità e l’affermazione del diritto. Dopo i milioni di firme raccolte su decine di proposte refendarie, oggi è in corso la raccolta delle firme su 25 proposte di legge liberali, liberiste e libertarie, per la riforma della magistratura, sui diritti civili, per il presidenzialismo all’americana, per la clonazione terapeutica. Occore la firma di 50.000 cittadini: questi 50.000 hanno il potere e la possibilità non solo di influenzare la politica, ma di farla in modo attivo, decidendo. Questa facoltà del cittadino mina il potere della partitocrazia, e questo è il motivo per cui in Italia a noi viene negata la possibilità di informare, se non addirittura la nostra stessa esistenza.
5) Le tecnologie informatiche l’hanno aiutata molto per superare, nel suo piccolo, questo <<muro>>. Almeno per quanto riguarda la comunicazione. Eppure oggi in Italia ci sono schiere di filosofi, religiosi, intellettuali e persone varie che sono pregiudizialmenti ostili alle tecnologie…
Si, l’ostilità verso il nuovo è una costante di ogni epoca, soprattutto quando oltre alla paura per il “non-conosciuto” si aggiungono gli anatemi religiosi. Ma l’umanità, la civiltà occidentale è passata attraverso il Medioevo – e tutti gli altri nuovi medioevo – giungendo all’Illuminismo e alla nascita del pensiero liberale, arginando il dilagarsi del fondamentalismo cattolico. La tecnologia, i computer e soprattutto internet, ci offrono oggi un grado di libertà come mai in passato è accaduto. Sta a noi difendere questa libertà e promuoverla, consentire alla scienza di progredire sperimentando, per migliorare la qualità della vita, per vedere magari, un giorno, campi di grano nel deserto del Sahel. O trovare il modo per combattere malattie come la mia.
Rispondo prendendo ad esempio il segretario di Rifondazione Comunista. Durante una trasmissione di Maurizio Costanzo, alla quale ho partecipato, Fausto Bertinotti mi ha rivolto la propria solidarietà non comprendendo che ero là per chiedere voti per essere eletto deputato, e non per elemosinare, suscitare, una compassionevole, deplorevole pietà. Il comunista Bertinotti, che non dice una parola sul miliardo di cinesi oppressi da una dittatura sanguinaria, cita però padre Sorge, professa la non violenza, proprio lui, difensore dei più terribili regimi dittatoriali che fanno della violenza uno strumento d’elezione per il controllo delle masse. Bertinotti imperversa letteralmente, occupando tutti gli spazi televisivi che gli vengono offerti. Ora è il non violento, ora il difensore dei dannati della terra, l’antiglobalizzatore, l’antifascista, l’antinazista, il saggio, che ci dice che i terroristi vanno puniti, ma senza ricorrere alla forza. Partecipa alla marcia della pace, si professa comunista, ma non si definisce un integralista della chiesa rossa, come se ci fosse stato un tipo particolare di comunismo che non avesse arrecato danno e morte agli uomini e alle donne, che lo hanno subito. Bertinotti ha in mente un modello di non violento: Carlo Giuliani, il giovane ucciso da un carabiniere mentre gli stava scagliando contro un estintore. Cosa avrebbe dovuto fare il carabiniere? Farsi fracassare il cranio oppure sparargli? Il povero Giuliani non era un non violento, era un terrorista, che, se al posto dell’estintore, avesse impugnato una pistola, non avrebbe esitato un istante a fare fuoco. Questa è la non violenza del segretario di rifondazione comunista. Poi, ci sono i comunisti italiani, e i verdi, secondo i quali l’intervento anglo americano e della Nato in Afghanistan, sarebbe un atto di violenza ingiustificato. Cossutta e Pecoraro Scanio, si ergono anche essi a baluardi della non violenza, senza, però, proferire nemmeno una sillaba sulla mattanza che i talebani stanno conducendo, dal 1996, nei confronti di un popolo inerme.
Se è vero, che il grado di civiltà di un paese, può essere misurato dal livello di indignazione rispetto alle violazioni della legge, allora, esso è decisamente basso in Italia, dove, per sopravvivere il cittadino sembra essere ormai disposto a piegarsi alle ragioni di un sistema di illegalità consolidato e capillarmente diffuso. Un Paese nel quale un teppista come Casarini può incitare alla violenza e, invece, di risponderne alla autorità giudiziaria,viene invitato nei salotti televisivi e fatto passare per un non violento. Certo, l’Italia è una democrazia, ma quando tali violazioni diventano sistematiche come nel nostro caso , da una democrazia sostanziale, si passa ad una democrazia, meramente formale. I rischi ai quali una democrazia solamente formale espone, poi, le garanzie fondamentali sono tali da minare alla fine le basi stesse della democrazia e da rendere urgente una azione politica volta al ripristino della legalità. E’ questo che ogni cittadino, ogni ragazzo, ogni anziano deve scontare. Non può sorprendere quindi il trovarsi ad assistere a prese di posizione rigide, che si fondano su una ignoranza oggettiva dei fatti e della storia, più che sul pregiudizio generazionale.
Il disperato dunque è Casarini e non Sofri.
28 settembre 2001 – Paolo Mossetti
Eventuali errori presenti nel documento sono dovuti ad un adattamento del testo per il sintetizzatore vocale utilizzato da Luca
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