Questo primo congresso dell’associazione che porta il mio nome non sarebbe stato possibile senza il supporto ed il lavoro appassionato di molti compagni di strada che hanno creduto nella utilità e nella fattibilità di questo progetto.
Sento sulla mia pelle tutta la responsabilità di una battaglia i cui frutti saranno raccolti, tranne rare e fortunate eccezioni, dalle future generazioni.. In molti ammirano la mia forza ed il mio coraggio. Io non sono né forte né coraggioso. Pensavo da ex maratoneta di essere per lo meno un po’ più resistente di quanto in realtà non sia. Nemmeno quello. Ma riconoscere i propri limiti e la propria finitezza è il primo passo che ti fa accettare la realtà, spesso durissima, nella quale ognuno di noi è immerso. E di vivere in questa realtà. Dall’altro lato grazie ai molti contatti non solo telematici con persone con sclerosi laterale amiotrofica mi rendevo conto che la lista dei caduti si allungava spaventosamente mese dopo mese.
Sarebbe un sogno se la sperimentazione di Torino fosse la soluzione a questo problema. È però una sperimentazione e non un sogno. Ne siamo chiaramente consapevoli. Medici e pazienti. Così molta altra strada, altre strade, dovranno essere percorse prima che questa e altre malattie molto più diffuse potranno essere sconfitte. Strade come la clonazione di embrioni umani per finalità terapeutiche o gli studi sugli embrioni soprannumerari e non. Strade che la Chiesa cattolica ritiene immorali e
per ciò stesso illecite cioè illegali. Impedire però queste ricer- che rappresenta un crimine contro l’umanità. E il parlamento italiano sta per compiere questo crimine per altro con una legge sulla procreazione medicalmente assistita che è un minestrone disgustoso nel quale i parlamentari hanno riversato i più svariati ingredienti: i paletti alla fecondazione assistita, il divieto alla clonazione terapeutica anche mediante trasferimento nucleare cellulare, il divieto di creare nuovi embrioni per finalità di ricerca, il divieto di studiare gli embrioni soprannumerari.
È singolare che proprio un malato muto, immobile, bisognoso di cure e di assistenza, continui a combattere questa battaglia come se potesse essere vinta anche in Italia. E pensare che nell’ospedale di Orvieto, così come in molte altre strutture ospedaliere, il reparto di rianimazione non è stato ancora aperto, non è possibile fare una ossimetria notturna domiciliare perché l’apparecchio che costa poche centinaia di euro non è stato ancora acquistato, il servizio di assistenza domiciliare integrata non fornisce la fisioterapia ai malati cronici come me. Insomma ci sono muri che sembra impossibile sfondare. Da quelli che negano livelli dignitosi di assistenza sanitaria e sociale, a quelli che impediscono alla ricerca scientifica di fare il suo corso.
Mentre scrivevo questa relazione immaginavo il momento in cui vi avrei parlato attraverso il sintetizzatore vocale, che però non potrà e non può trasmettervi l’emozione che provo a ritrovarmi oggi qui con voi a celebrare il primo Congresso dell’Associazione che porta il mio nome. Come vi ho scritto nella lettera di convocazione, ho avuto il dubbio che, senza volerlo, stavamo per dare vita ad una delle tantissime associazioni che già si occupano dei diritti del malato e dei disabili ma, strada facendo, guardando a me stesso, alla mia vita e alla condizione di tante persone che ho potuto conoscere in questi anni, alle idee
che mi danno e ci danno forza, mi sono reso conto che stava- mo per far nascere qualcosa di cui c’è assoluta necessità. Non voglio togliere alcun merito alle associazioni che lavorano affrontando difficoltà di ogni tipo per garantire una vita dignitosa ai loro associati: senza di esse avremmo probabilmente centinaia di migliaia di persone abbandonate e senza speranza. Ma quello che devo constatare è che tutto il settore della disabilità – nonostante gli innegabili passi avanti che pure si sono fatti – è di frequente una vera e propria giungla di sopraffazione nei confronti dei più deboli. Noi vogliamo occuparci di diritti e di diritto, non di favori o di elargizioni, perché sono convinto che se la stella polare seguita dai navigatori istituzionali, i nostri politici insomma, fosse quella del rispetto della legalità, in primo luogo quella dettata dalla Costituzione, la situazione sarebbe di gran lunga migliore di quella attuale.
Non posso che fare un applauso agli scienziati e ricercatori italiani che in questi giorni si sono mobilitati contro i tagli dei finanziamenti alla ricerca previsti dalla Finanziaria e per l’assenza di condizioni adeguate per svolgere la loro attività di ricerca scientifica, ma vorrei dire loro che non solo per mancanza di fondi muore la ricerca italiana. La ricerca italiana è destinata a soccombere anche per i proibizionismi, come quello che esclude, come abbiamo già visto, l’utilizzo delle cellule staminali embrionali a causa dei veti vaticani ai quali, di buon grado, dimostra di piegarsi la classe politica italiana.
Il 13 dicembre scorso, in occasione della maratona Telethon, il Premio Nobel Renato Dulbecco ha detto, ancora una volta, parole chiare sulla clonazione terapeutica. Lo aveva già fatto nel 2000 con il rapporto che porta il suo nome e su incarico dell’allora Ministro della sanità Veronesi: è un errore – ha dichiarato – vietare la clonazione di embrioni umani finalizzata alla produzione di cellule staminali a scopo terapeutico. Le persone che – come molti cattolici – non condividono queste ricerche
dal punto di vista etico, possono restarne fuori. Meglio prevedere l’obiezione di coscienza piuttosto che imporre divieti a tutti. Sembra incredibile, ma in questi giorni il Premio Nobel italiano – che ha scelto di vivere per ben cinquanta anni negli Stati Uniti – è stato intervistato da molte testate i cui giornalisti gli hanno chiesto cosa ne pensasse del progetto annunciato dall’università statunitense di Stanford di clonare embrioni umani per ottenere cellule staminali, utilizzando la tecnica del trasferimento nucleare. Approvo il progetto – ha risposto pazientemente Dulbecco – aggiungendo con gentilezza che nel 2000 la commissione istituita da Veronesi aveva proposto esattamente una via analoga. Il Nobel Dulbecco ha dovuto dichia- rare di essere d’accordo con se stesso!
Non manca chi – come Cinzia Caporale, membro del Comitato Nazionale per la Bioetica – ci chiede di assumere posizioni moderate, per non svegliare il can che dorme. Per il momento – afferma la Caporale – la pessima legge sulla fecondazione medicalmente assistita è bloccata al Senato e l’accalorato dibattito sulla legge si è miracolosamente spento per iniziativa e pressione dei libertari, che non si sono stancati di sollecitare Palazzo Madama a riesaminare quel testo di legge liberticida approvato dalla Camera dei Deputati.
Io non credo sia un grande successo libertario che un dibattito si sia spento ma, detto questo, mi chiedo perché dobbiamo accettare senza reagire il fatto che in Italia sia vietata la clonazione terapeutica e persino l’utilizzo a fini di ricerca degli embrioni soprannumerari. Mi chiedo perché noi cittadini italiani, noi malati dobbiamo sottostare, senza fiatare, agli sproloqui di un Ministro della Sanità che definisce la clonazione terapeutica “un crimine contro l’umanità”. Proprio in queste ore sono confortato dalla presa di posizione di scienziati come il Presidente del Comitato Nazionale per le biotecnologie Leonardo Santi che ha avuto parole chiare sul tema:“non ci sono dubbi scientifici – ha detto – sulla efficacia della sperimentazione sulle cellule staminali embrionali. Purtroppo, siamo gravati dal peso di un aspetto religioso che ne impedisce la sperimentazione. C’è una questione religiosa da superare che cozza contro una realtà scientifica incontrovertibile”. Secondo Santi, “intanto, si può cominciare ad utilizzare gli embrioni congelati che vanno a morte certa, e non si capisce perché anche questa strada sia preclusa”… Già, perchè. Anche il Senatore Antonio Del Pennino se lo chiede, perché da serio e impegnato parlamentare della Repubblica sta conducendo, purtroppo pressoché isolato, una battaglia su un altro disegno di legge, quello sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche che porta le firme di Berlusconi, Marzano e Tremonti! Scrive Del Pennino nella sua relazione: “il disegno di legge che ci è stato trasmesso dalla Camera, contiene una serie di disposizioni restrittive rispetto alla direttiva comunitaria 98 44, disposizioni che per un verso appaiono frutto di impostazioni ideologiche che sono improprie in questo testo, dall’altro rischiano di danneggiare sia la salute, sia la potenzialità competitiva del nostro Paese. Dal primo punto di vista che so essere il più delicato, quello che suscita maggiori contrasti, credo non si possa non sottolineare come, la previsione di escludere dalla brevettabilità il corpo umano sin dal momento del concepimento e nei vari stadi del suo sviluppo, innovando rispetto a quanto affermato nella direttiva, che stabilisce che non può costituire invenzione brevettabile il corpo umano nei vari stadi del suo sviluppo, ha un preciso significato di affermazione di principio, impropria in questo testo legislativo e da cui si fanno poi discendere norme precettive che rischiano di rendere più difficile l’attività dei ricercatori italiani.
Conseguenza di questa affermazione appare, infatti, la disposizione contenuta al numero 3 della lettera G che prevede l’esclusione dalla brevettabilità delle invenzioni basate su ogni utilizzazione di embrioni umani, ivi incluse le linee di cellule staminali embrionali umane. Sul punto la direttiva europea parlava invece di utilizzazione di embrioni umani a fini industriali e commerciali. L’Italia dunque, nel recepire – dopo ben quattro anni – le direttive europee in materia di brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, ci mette del suo, aggiungendo pericolose restrizioni ideologiche”. Ma questo è solo uno dei punti del disegno di legge in questione: ce ne sono altri, forse ancora più gravi, che in questa sede non ho il tempo di trattare, con i quali la ricerca italiana dovrà fare i suoi contiMi chiedo e vi chiedo: c’è bisogno o no di una risposta radicale su ciò che sta capitando in Italia e per certi versi anche in Europa? C’è bisogno o no di una risposta che abbia il respiro transnazionale e che divenga capace di raccogliere, coordinare, valorizzare tutto ciò che avviene non solo nei nostri ristretti confini? Le domande sono certamente retoriche, ma è questo il motivo che ha portato, me e la squadra che mi supporta, a decidere di definire l’Associazione “soggetto costituente di Radicali Italiani e del Partito Radicale Transnazionale”. Nell’indimenticabile incontro che abbiamo avuto a Siena con José Saramago, non finirò mai di ringraziare Giulia Simi per averlo organizzato, il Premio Nobel mi ha detto che la nostra lotta deve essere oggetto di una grande campagna di opinione pubblica, che renda visibile una realtà che alcune entità tendono ad occultare. Bisogna davvero promuovere una grande campagna internazionale – ha proseguito – e, per quanto possono le mie poche forze, io non ho potere nelle mani, contate su di me”. Queste le parole che mi ha rivolto Saramago nell’accettare di divenire Presidente d’Onore dell’Associazione e di scrivere la prefazione della prossima edizione del Maratoneta. Io cercavo nei suoi occhi un punto fisso per non cedere alla commozione e ci sono riuscito con grande fatica ma ce l’ho fatta. Il mio sguardo è molto duro nella vita di tutti i giorni, si è indurito negli ultimi anni. Vorrei che fosse rilassato e disteso per me e per chi mi ama ma, devo confessarlo, non è affatto semplice. Nelle poche parole che mi ha rivolto José Saramago c’è tutto il significato dell’impresa che vi propongo di mettere in piedi. Informazione, modello Radio Radicale, transnazionale, liberale, liberista, libertaria e, soprattutto, con quell’umanità che ha portato Saramago a chiedermi come io materialmente possa scrivere e parlare. Quando l’essere umano rimane come nel caso di Luca, senza voce, per fortuna – ha detto Saramago – la tecnologia con i suoi sviluppi consente che un’altra voce sostituisca la sua.
E arrivo ora al capitolo che voglio intitolare libertà di parola. È stato Marco Pannella a farmi comprendere sino in fondo il significato di questa battaglia che vorrei fosse adottata fra gli obiettivi della mozione per il 2003, assieme a quella, generale e prioritaria, per la libertà di ricerca scientifica e a quella che chiamerò “progetti di Vita Indipendente”: l’autogestione dell’assistenza come strumento di libertà. La comunicazione è tutto, lo abbiamo sperimentato in occasione dell’ultima campagna elettorale, sulla nostra pelle, quella mia, di Emma Bonino, di Marco Pannella e di centinaia di altri cittadini. Lo verifichiamo ogni giorno come esseri umaniSe ci tolgono la parola, ci tolgono la vita. La tecnologia attuale consente di parlare anche con il movimento degli occhi o della testa. Io vi parlo dettando i comandi con i movimenti quasi impercettibili della mia mano destra, Camillo Colapinto parla con gli occhi, Severino Mingroni, che ci ha comunicato di essersi iscritto all’associazione, parla con l’hedmaus, cioè attraverso i movimenti del capo. Obiettivo che dobbiamo proporci per il 2003 è quello di assicurare ai malati e ai disabili impossibilitati a comunicare, come i malati di sclerosi laterale amiotrofica e non solo, tutti gli strumenti di una possibile forma di “comunicazione” col mondo esterno messi a disposizione dalla moderna tecnologia. Governo, Parlamento, Regioni, Province e Comuni devono farsi carico dei problemi dei malati gravissimi che hanno biso- gno di un’assistenza personale e domiciliare 24 ore su 24, e che sono costretti a vivere con un assegno mensile di assistenza di 218 euro ed un’indennità di accompagnamento di 426 euro. Non voglio essere demagogico, ma vorrei chiedere ai nostri politici, a qualsiasi schieramento appartengano, come sia possibile, a loro avviso, campare con 40.000 lire al giorno nelle condizioni che ho descritto, dovendo pagare un certo numero di persone che coprano l’arco delle 24 ore, per trecentosessantacinque giorni l’anno. Lavoratori ai quali vanno garantite ferie, tredicesime e malattie comprese. Il compito dell’Associazione che porta il mio nome sarà quello di ottenere questa risposta. A voi tutti che siete qui o che ci raggiungerete in queste ore, mentre vi guardo uno per uno, dico semplicemente che mi state dando il migliore augurio per il nuovo anno. So che lavoreremo bene insieme. Non sono, non siete, non siamo soli. Auguri.
21 dicembre 2001 – Luca Coscioni
Sul sito di Radio Radicale è possibile vedere il video integrale del congresso dell’Associazione “Luca Coscioni”.
Commenti (0)