Ringrazio Mauro Pichezzi e l’Associazione Viva La Vita, per avermi invitato, ad intervenire a questo appuntamento che rappresenta momento di dibattito, confronto e auspico di azione, che riguarda le nostre esistenze, le nostre coscienze, le nostre responsabilità. Sono affetto da 10 anni e mezzo, da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), malattia che lascia intatte le facoltà dell’intelletto e distrugge tutto il resto. Costringe chi ne è affetto alla progressiva ed inesorabile immobilità, fino a causarne la morte. Non mi sento libero. Non sono libero. Perché, ancora nel nostro Paese, le persone disabili non possono con una coscienza di libertà propria, essere soggetti attivi nel processo sia di scelta che di consumo di servizi e strutture libere per tutti gli altri individui? Parlo intenzionalmente di disabilità e non “di abilità diverse”, proprio perché, sebbene la situazione migliore che in passato, la cultura socio-politica italiana nei confronti della disabilità, è ancor piena di pregiudizi, dove i rapporti civili e sociali, il rispetto della dignità umana, le libertà individuali non sono affatto garantiti.
È un problema dunque di libertà degli individui che va di pari passo con la responsabilità , perché in un paese democratico non può esserci libertà senza responsabilità. Si perché è proprio la democrazia, nel nostro Paese, ad essere messa in discussione, dove l’acquisizione del sapere, la ricerca, risorsa inesauribile per la sopravvivenza dell’umanità, come luogo di discussione e di libertà su temi che riguardano direttamente la vita, la morte, la salute, la qualità della vita degli individui, è negata ad essa. Non può esserci dunque il superamento di nessuna barriera, ideologica, geografica, economica, razziale, politica, se non consideriamo le barriere invisibili per chi non le soffre, elementi fondamentali della libertà personale. E quando non si superano si parla di violenza e di crimine contro l’uomo. Con l’Associazione che porta il mio nome, per la libertà di ricerca scientifica, alla violenza sui diritti fondamentali dei cittadini, ho risposto con il mio corpo che molti, forse, avrebbero voluto ridurre ad una prigionia senza speranza, e rispondo oggi, con la mia sete d’aria, perché è il respiro a mancarmi, che è la mia sete di verità, la mia sete di libertà.
Mi auguro che i malati come me, possano armarsi di forza, di coraggio e di uscire dall’isolamento delle mura domestiche, per lottare per la propria esistenza, per il riconoscimento della stessa, per la libertà, come solo chi ne è stato privato è capace di farlo, per la libertà di scienza, per la libertà di ricerca, per la libertà di coscienza, per quel valore di libertà che non può essere teorizzato, ma semplicemente e dignitosamente vissuto. Buon lavoro, ho concluso.
21 febbraio 2006 – Luca Coscioni
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