Luca Coscioni scrive all’Avvenire
Egregio Direttore,
ho letto la lettera di Gianni Mereghetti pubblicata dal quotidiano da Lei diretto in data 6 giugno 2001. Mi dispiace di aver fatto scendere nel lettore del Suo quotidiano un velo di tristezza. Non era mia intenzione. Tuttavia, non posso essere d’accordo con Gianni Mereghetti quando sostiene che l’articolo di Marina Corradi racconti un dramma umano: il mio. Mereghetti non si è accorto, e me ne duole, che nell’articolo in questione si è parlato di politica. In particolare, della battaglia radicale per la libertà della ricerca scientifica. Evidentemente, Gianni Mereghetti vede negli occhi di chi gli sta di fronte il riflesso di una tristezza che molto probabilmente è sua e non dell’altro. In effetti, se si fosse rivolto verso di me senza pregiudizi, si sarebbe accorto che nei miei occhi non trova posto il riflesso di un dramma e della tristezza, ma sete inestinguibile di libertà. Ora, il fatto che il mio concetto di libertà non coincida con il suo non autorizza di certo Mereghetti a sostenere che il sottoscritto sarebbe vittima inconsapevole di una cultura che non sa più cosa sia in realtà la libertà. Una cosa è però certa: il concetto di libertà che mi anima mi rende pronto a mettere letteralmente in gioco la mia vita perché Mereghetti possa liberamente esercitare la propria libertà. Ho qualche perplessità per quanto riguarda il viceversa. Un saluto cordiale.
2001 – Luca Coscioni
Eventuali errori presenti nel documento sono dovuti ad un adattamento del testo per il sintetizzatore vocale utilizzato da Luca