Cita, una splendida citazione, Leonardo Sciascia: «I morti sono pensionati della memoria. E sono pensionati dalla verità, e non dalla menzogna»
Nel giorno della morte di una persona che ha amato, oltre che di un compagno di battaglie, Daniele Capezzone spiega che non vuole fare polemiche inutili, ma che la verità va ristabilita: «Per noi e per Luca non può essere l’ora della polemica, ma la verità, quella sì, deve essere detta». Il segretario del Partito radicale è molto chiaro, in queste ore: «Non accetto il pianto dei “coccodrilli”, non trovo opportuno che tutti piangano Coscioni, anche tutti coloro che, in momenti diversi, lo hanno ignorato, dimenticato, ridotto a un fenomeno marginale». E il primo rimpianto è per quella mancata elezione e per quella gravissima offesa. Per il giorno in cui a Luca Coscioni fu proibito l’ingresso in Parlamento da una candidatura contrapposta nell’Unione nel collegio di Orvieto, e per quello in cui si ruppe il tavolo di trattative con il centro sinistra alle elezioni amministrative perché Rutelli e Fassino considerarono «inaccettabile» una lista che si intitolasse a lui.
Ce n’è anche per il centrodestra, però, che bocciò la sua nomina per il Comitato nazionale di bioetica. Capezzone, come fu possibile che l’alleanza in cui vi trovate ora dicesse no alle liste Radicali-Luca Coscioni? «Ho un ricordo molto chiaro, netto. Ci trovavamo nella mia stanza al Partito radicale, era in corso una trattativa complessa, c’erano Cossutta, Marini, Fassino… Io non posso dimenticare, oggi, che quella trattativa si interruppe bruscamente perché noi avevamo annunciato l’intenzione di intitolare a Luca le nostre liste». Era un nome così scomodo, così imbarazzante? «Evidentemente per loro sì. Ci dissero che non era una buona proposta, che bastava trovare un altro nome. Ovviamente noi non potevamo accettarlo». Ma perché? Cosa rappresentava per l’Unione di tanto sconveniente quel nome? «I Ds e la Margherita sostenevano che Luca, in sé, rappresentasse un accostamento con la battaglia referendaria che si sarebbe combattuta di lì a poco. Se era vero, era davvero grave che ci dicessero questo. Io spero che fosse vero, ovviamente in questi termini un’alleanza era impossibile». Nessuno smentì quella fuga di notizie, si cercò solo di attenuarla, di circoscriverla. Ci sono mai state delle scuse? «Devo dare atto ai Ds e a Chiti che cercarono comunque di recuperare un’intesa per ridurre quell’offesa». Però Luca sarebbe potuto entrare in Parlamento nel 2001, quando voi lo candidaste ad Orvieto, nella sua città. Perché lì non fu possibile trovare una «desistenza»? «Perché incontrammo una resistenza, criminale, e fra l’altro perfettamente bipartisan. Ma in un collegio rosso, ovviamente, la scelta che pesò di più fu quella dell’Unione che decise di candidare l’ottima Katia Bellillo. E che, malgrado il grande risultato di Coscioni, vanificò la sua campagna elettorale».
Quale fu la campagna di Luca? «Chiese implacabilmente, come peraltro fino alla sua fine, a tutti i leader politici, dal centrodestra al centrosinistra, che cosa rispondevano sulle questioni della bioetica, sulla libertà di ricerca». Che cosa risposero a Luca? «Tutti insieme non risposero. Tutto il centrosinistra invocò la libertà di coscienza, per sottrarsi a una scelta faticosa. E a Milano Dell’Utri corse contro la Bonino». Ha dei rimpianti? «L’elezione di Luca avrebbe cambiato la storia, la sua stessa presenza avrebbe migliorato questo Parlamento, avrebbe imposto una riflessione. Avrebbe avuto lo stesso rilievo dell’elezione di Tortora al Parlamento europeo». Però è ovvio che Casini si opponesse alle richieste di Coscioni sulle cellule staminali. Meno ovvio che lo facessero i politici del centrosinistra, no? «Pasolini diceva al Pci: “La mia non è una polemica blasfema, è una polemica fraterna”. Io oggi pongo a loro un problema politico: gli chiedo di rispondere oggi a quei quesiti e chiedo agli elettori della Lista unitaria se sanno come voteranno i loro candidati». Lei lo sa? «No, io non lo so. Non so se voteranno come Fassino o come Rutelli, non so se invocheranno la libertà di coscienza. E questo è male». Lei ce l’ha anche con Berlusconi? «Sì, perché non ha incluso Luca nel Comitato di bioetica. So che c’erano resistenze, ma forse avrebbe potuto imporlo». Adesso date fastidio ai Ds, avete sottratto nomi del prestigio di Lanfranco Turci. Perché? «A dire il vero sono loro che ci hanno rinunciato. Ed è inquietante che Livia Turco abbia parlato di “patacca” e Vannino Chiti usi toni da anni Cinquanta». Si sente responsabile per non essere riuscito a portare Coscioni in Parlamento? «Tutti dobbiamo sentirci responsabili. Negli ultimi tempi ogni parola gli costava trenta secondi di fatica. Poco prima di morire ogni parola gli costava un minuto. È grottesco che la Binetti oggi voglia intitolare a lui l’ultimo pezzettino di ricerca a 360 gradi che è rimasto possibile in Italia. Luca si è battuto perché la ricerca fosse libera a 360 gradi». Però le staminali non avrebbero potuto salvare Coscioni. «Anche questa è una piccola offesa. Il primo a saperlo era Luca, lo capiva e lo diceva. Per lui non si sarebbe fatto in tempo. La cosa più bella della sua battaglia combattuta fino alla morte è che era dedicata a coloro che oggi vivono felici e spensierati come noi e non sanno nemmeno se e quando scopriranno di essere malati».
22 febbraio 2006 – Luca Telese
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